di Alfredo Sgarlato
Lezione 6
Quest’estate ho visitato una mostra ideata dall’amico Giuliano Arnaldi, direttore della Fondazione Tribale Globale di Onzo. Erano esposti vari oggetti di arte e artigianato provenienti da culture extraeuropee. Ho notato, con grande interesse, come simboli ricorrenti apparivano su oggetti di fabbricazione africana, polinesiana, sudamericana. Giuliano mi spiegava come probabilmente già nel neolitico esisteva una serie di 26 simboli comuni a tutte le tribù, una prima forma di alfabeto, e che un compositore ha creato un software che trasforma questi simboli in note: quello che ne risulta è una melodia gradevole, non cacofonica.
Per spiegare cosa sono i simboli ci vorrebbe un intero corso di laurea: oggi ci limiteremo a vedere alcuni esempi della loro applicazione in contesti artistici. La parola “simbolo” viene dal latino symbolum che a sua volta si origina dal greco σύμβολον [symbolon] (“segno”) che a sua volta deriva dal tema del verbo συμβάλλω (symballo) dalle radici σύν «insieme» e βάλλω «gettare», avente il significato approssimativo di “mettere insieme” due parti distinte; in breve, è un’immagine che ne evoca un’altra.
A colpirmi, nel caso della mostra sopra citata, è stato come in molte culture appare il simbolo dello “svastica” (generalmente il nome si usa, erroneamente, al femminile). Il termine deriva dal sanscrito ed ha significato di augurio, ma anche di benvenuto, di incrocio tra quattro strade, di asse intorno a cui gira il mondo. I nazisti, appassionati di culture esoteriche, lo rappresentano con rotazione rovesciata, facendone un simbolo di morte. In alcune versioni è una croce che va a formare un cerchio, unendo i due simboli maggiormente ricorrenti. In alcune culture la croce rappresenta la base di una montagna, quindi l’unione tra terra e cielo. Ha anche significato di buon augurio e sessuale. Nel Cristianesimo rappresenta il martirio di Cristo (quindi l’unione di terra e cielo). Alla base delle figure circolari spesso c’è il corso del sole intorno alla terra (ovviamente in una visione del mondo geocentrica). Il sole nasce muore e rinasce; poiché dà la vita ha una natura divina; ecco perché in molte culture si ritrova una figura mitica o divina la cui storia, nascita, morte, resurrezione, riproduce il ciclo del sole.
Un simbolo di forma circolare molto diffuso nelle culture orientali è il “Mandala”, che ha vari significati: l’universo, il sacro (cioè separato), e anche una funzione rituale. Tra gli oggetti presenti alla mostra c’era anche un bastone da sciamano: un oggetto con molti simboli intagliati, che lo sciamano passa sopra le erbe curative, per poi sfiorare il corpo del malato; in questo caso il simbolo funge da tramite per il passaggio del potere curativo dalla pianta al malato; del resto anche al giorno d’oggi quanti oggetti sono considerati portafortuna: sono anch’essi simboli.
Nell’arte figurativa i pittori facevano spesso ricorso a simboli, sia con significato esoterico (cioè rivolto a pochi iniziati), sia perché al contrario comunemente comprensibili, per rappresentare in maniera semplice un concetto complesso. Per esempio, in molti ritratti, specie di re o potenti, appare un cane, simbolo di fedeltà. In un celeberrimo quadro di Piero della Francesca appare un uovo: l’origine, cioè Dio. Il pavone rappresenta la mitica fenice, e quindi, poiché risorge, Cristo. Questi sono solo pochi esempi, ne potremmo trovare migliaia; l’umanità da sempre usa simboli, e come abbiamo visto molti sono ricorrenti, al punto di far ipotizzare a Jung e poi ai suoi seguaci, l’esistenza di un inconscio collettivo e di “Archetipi”.
Oltre alle figure simboliche che abbiamo incontrato nell’arte figurativa e nella religione, anche nella letteratura troviamo simboli e archetipi. Il maggiore ricorso agli archetipi è nei miti, ovviamente, e nelle favole. Anche in questo caso ne citiamo solo alcuni: il “Puer aeternus”, il bambino che non cresce mai, però mantiene capacità eccezionali: è Hermes/Mercurio, ma anche Peter Pan; in molte favole provenienti da tutta Europa è il “forte Giovanni”, presente con altri nomi in favole orientali.
Il “Senex”, il vecchio saggio, spesso con una lunga barba bianca, per esempio Gandalf nel “Signore degli anelli”, ma così sono rappresentati Mosè, Noè, i profeti, Dio stesso (invece i dittatori non sono mai figure di questo tipo). Sono archetipi i personaggi della commedia dell’arte, le maschere di carnevale, i tarocchi.
Quando un romanzo o un film hanno un successo straordinario è perché si rifanno a miti o archetipi condivisi: pensiamo a Harry Potter, il più grande successo degli ultimi anni. Quanti film sono basati sull’“Arlecchino servitore di due padroni”: il più bello di tutti “Per un pugno di dollari”. Diceva Jorge Luis Borges, grandissimo e onnisciente scrittore argentino, che le storie sono sei o sette: citiamo gli amanti che appartengono a clan rivali: Romeo e Giulietta (Cosroe e Shirin nella versione araba); la pattuglia sperduta in territorio nemico: l’“Anabasi” di Senofonte ma anche “I guerrieri della notte” (un capolavoro della Hollywood classica come “Johnny Guitar” potrebbe essere un misto delle due; un’intera lezione potrebbe essere dedicata al simbolismo del cinema americano).
L’archetipo narrativo più ricorrente è il viaggio dell’eroe, da Gilgamesh all’Odissea a Cuore di Tenebra/Apocalipse Now: persino la cinebiografia di Freddie Mercury è stata manipolata per adeguarla al tema. L’eroe spesso scende agli inferi, o è mangiato da una balena (o la insegue…): è la discesa nell’inconscio, il confronto con la parte oscura del Sé, senza la quale non si risolve il problema.
E qui concludiamo, se no facciamo notte fonda.