ARTISTI E TOSSICODIPENDENZE

ARTISTI E TOSSICODIPENDENZE

di Alfredo Sgarlato

Lezione 4

Quando si parla delle personalità degli artisti è inevitabile affrontare il tema del rapporto che hanno avuto con le droghe. Se il fenomeno è esploso nel ‘900 dobbiamo comunque sapere che l’uso di droghe si perde nella notte dei tempi. Persino alcuni animali, per esempio, gli elefanti, si cibano di piante stupefacenti. È probabile che nella psiche umana sia presente una tendenza all’evasione e allo “sballo”, che, come sempre, è stata affrontata diversamente a seconda delle epoche. Già nell’”Odissea” si parla dei lotofagi, che ricercavano l’estasi cibandosi di una pianta. Nel mondo antico il consumo di droghe era regolamentato secondo precisi rituali, per esempio, nel periodo del carnevale in cui ogni eccesso era ammesso. Oppure riservato a figure come lo sciamano, o “l’uomo medicina” dei nativi americani. Molte culture antiche ipotizzavano che l’uso di droghe allargasse la coscienza e avvicinasse alla comprensione di Dio; vero è che l’area cerebrale stimolata dalla droga (dalla morfina in particolare) è la stessa che è attivata nell’esperienza religiosa.

Gli sciamani del Messico ricorrevano al peyote: un professore dell’università di Padova scriveva in un articolo di averlo provato e aver passato tre giorni tra vomito e dolori atroci: faceva quindi notare che il peyote dà un’esperienza mistica solo a chi è cresciuto in quell’ambiente, in quella cultura, a un occidentale fa solo male. L’idea che usare droghe stimoli la creatività però è sempre stata forte: è vero? Probabilmente no, lo stesso Oscar Wilde diceva “scrivi da ubriaco e correggi da sobrio”. Ubriachezza e sballo danno una diminuzione della soglia di vigilanza, per cui si vive come creatività quello che in realtà è pseudodelirio

Il rapporto tra artisti e droghe si fa forte a partire dall’800. Il grande poeta Coleridge scrisse un poema intitolato “Kubla Khan”, che a suo dire era ispirato da un sogno sotto effetto dell’oppio, che al risveglio non seppe completare. Fu precursore dell’esperienza di Brian Wilson, leader geniale dei Beach Boys, che abusava di varie droghe, e sotto il loro effetto concepì un disco intitolato “Smile”, che doveva essere il capolavoro assoluto del rock, un inno di lode a Dio per la bellezza del creato, ma anche al potere terapeutico della risata e alla parità uomo-donna. I risultati delle incisioni non erano mai all’altezza delle “visioni” di Brian (anche per via del suo estremo perfezionismo), e il disco così come lo immaginava non vide mai la luce. Il povero Wilson ebbe anche alcuni ricoveri psichiatrici.

L’oppio era la droga più diffusa a inizio ‘800 (si parla comunque di ambienti ristretti, non di diffusione di massa), nel 1822 lo scrittore inglese Thomas De Quincey ottenne grande successo di pubblico e critica con l’autobiografia “Confessioni di un mangiatore d’oppio” (letto oggi piuttosto noioso). Ma nell’800 il principale cantore delle droghe è Baudelaire, che intitola “I Paradisi artificiali” un saggio dove descrive gli effetti di oppio, hashish e vino, negando che stimolino la creatività e invitando a non usarli ma non condannandoli del tutto; il titolo diventerà un modo di dir abituale. Molti poeti dell’epoca citano droghe e vino, molto usato è l’assenzio, liquore che poi sarà proibito (pare che in realtà fosse né più né meno dannoso di qualsiasi altro alcolico). Nella seconda metà dell’800 vengono sintetizzate le droghe sintetiche, eroina, cocaina, amfetamina, che nascono come medicinali. Lo stesso Freud fece uso di cocaina, poiché, scriveva in una lettera alla futura moglie Martha, lo faceva sentire più brillante nelle situazioni sociali.

Ben presto vengono scoperti gli effetti nefasti delle droghe sull’organismo, dipendenza in primis, e le droghe sono proibite, benché diffuse in alcuni ambienti. Purtroppo un ambiente dove si diffondono terribilmente è quello dei jazzisti afroamericani. L’eroina fa breccia nelle menti di coloro che finché sono su un palco sono artisti acclamati, ma quando escono dal locale dove suonano ritornano “sporchi negri”: Miles Davis viene arrestato mentre, nella pausa di un concerto, esce a fumare una sigaretta, non serve a nulla mostrare al poliziotto che chi appare sulla locandina è lui. Questa condizione di vita schizofrenica porta molti musicisti alla droga, Davis riuscì a smettere, ma molti tra i più eccelsi tra i solisti, Billie Holiday, Charlie Parker, John Coltrane, Bill Evans, Chet Baker, morirono per il fisico devastato dagli abusi. Il falso mito della creatività liberata dagli stupefacenti si sparge anche tra i giovani bianchi. La leadership della mafia dopo gli anni ‘50 passa dai palermitani, che consideravano giusto spacciare droga solo ai neri, considerati uomini di serie B, agli ancora più spietati corleonesi, per cui pecunia non olet, che allargano il mercato ai bianchi. Molti pensano che, poiché le droghe si diffondevano in ambienti “alternativi” l’FBI avesse chiuso un occhio, sottovalutando il problema. Io rifiuto le tesi complottiste, ma per una volta il dubbio mi viene.

La piaga più devastante è l’eroina, ma con gli anni ‘60 si diffonde l’LSD, il cosiddetto “acido”, sintetizzato da Albert Hoffman come psicofarmaco (Cary Grant fu in psicoterapia sotto acido), che procura allucinazione complesse e durature, ed è per questo molto apprezzato dagli artisti, soprattutto i musicisti che sotto il suo effetto si lanciano in lunghe improvvisazioni, nel rock cosiddetto “psichedelico”. Gruppi come Beatles, Pink Floyd, Doors, Gong, e molti altri hanno composto sotto l’effetto dell’acido alcune tra le canzoni più belle del secolo passato; ma quanto della loro ispirazione venisse dalla droga e quanto da cultura del momento e dal genio creativo è difficile stabilirlo. Oggi che sono un’ultracinquantenne rifletto con stupore e tenerezza sul fatto che i musicisti che adoravo in gioventù erano ragazzi poco più grandi di me, come me onnivori e curiosi, che si facevano una cultura rifiutando gli insegnamenti ufficiali e andando a caccia di artisti sconosciuti o esotici: penso che questo molto più che le droghe influisse sul loro stile compositivo.

A fine anni ‘70 inizio anni ‘80 il fenomeno sociale dell’abuso di droga e le sue vittime esplodono, e le nuove correnti musicali sembrano rifiutarle; ma è un’illusione: l’eroina continua a essere molto diffusa, e a fine anni ‘80 si diffondono nuove droghe artificiali, come l’MDMA, in gergo extasy, o pastiglie, dannosissime per corpo e psiche, legate al mondo della musica techno, e delle feste illegali improvvisate, i cosiddetti “rave party”. Qui si torna al mondo primordiale, ricerca della trance tramite sostanze e ballo sfrenato, come per gli antichi sciamani. Nulla di nuovo sotto il sole, corsi e ricorsi storici. Il fenomeno più recente di legame tra droga e musica è quello legato alla “trap”, sottogenere dell’hip hop amatissimo dai giovanissimi e detestatissimo dagli adulti, in cui tematiche legate al consumo di droga (oltre che al culto della ricchezza e a un sessismo esasperato) sono frequentissime (ci sono anche trapper impegnati, come Salmo o Ghali). Lungi dal fare il moralista, da appassionato di musiche cosiddette “alternative”, noto come tematiche legate a sesso e droga nelle musiche del passato fossero legate a ideali di libertà e uguaglianza, mentre nella trap è spesso l’opposto.

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